Tanti sogni e pochi soldi, il mondo della Formula 1 sconvolto dalla storia tristissima

In Formula 1 ma non solo, approdare nella massima serie di un qualsiasi sport non è facile e prima di “fare il salto” un atleta o un team dovrebbero riflettere a fondo sulla propria decisione

Per arrivare in Formula Uno, specialmente negli ultimi anni con il regolamento che la FIA ha implementato proprio per evitare che team poco competitivi arrivino nel paddock a rendere le gare molto noiose, serve un lungo percorso.

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Ferrari in pista (Canva)

Solo i piloti e le scuderie più esperte possono approdare al massimo circuito di motorsport. La storia di oggi riguarda un sogno: quello della Pacific Racing, forse la scuderia più sfortunata di sempre.

Ambizioni pericolose

Come dice il motto della SAS, una delle unità di forze speciali più formidabili al mondo, “Chi osa vince”. Vero che soprattutto in uno sport competitivo come la Formula Uno non c’è spazio per indecisione e ripensamenti ma la storia della Pacific Racing, una delle più interessanti scuderie che siano entrate nella massima serie negli ultimi decenni, sembra insegnare una morale contraria.

Oggi, i regolamenti FIA renderebbero difficile un episodio simile. Per raccontare questa storia torniamo al 1984, anno in cui il pilota e meccanico Keith Wiggins riuscì a raccogliere i fondi necessari per fondare una piccola scuderia denominata Pacific Racing. La scalata della Pacific alla massima serie parte in realtà molto bene: nel giro di nemmeno dieci anni, non senza qualche intoppo, la scuderia si aggiudica numerosi trofei in Formula Ford, Formula 3 e 3000. Tutto sembra pronto per il salto.

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La livrea azzurra e rosa della Pacific Racing era una delle più gradevoli di quell’anno (Pinterest)

Un esordio segnato

Nel 1994, con un anno di ritardo rispetto alle aspettative di Wiggins, la Pacific riuscì ad esordire in Formula Uno con la sua prima monoposto ufficiale disponibile in due esemplari assegnati ai piloti Bertrand Gachot e Paul Belmondo. Sulla carta, la Pacific Racing PR-01 sembrava una buona auto con telaio di origine Reynard ed un motore V10 di derivazione Mercedes. Ma al di là dei marchi blasonati, l’auto si rivelerà presto insufficiente per competere nella massima serie.

Al Gran Premio di Brasile, solo una monoposto riesce a superare le dure qualifiche tra lo sgomento del team che si aspetta una prestazione migliore. Le monoposto, nonostante le premesse, si rivelano subito per quello che sono ovvero delle pessime auto, molto lente, difficili da tenere in pista e con un cambio tra i peggiori mai visti in F1. Purtroppo, la squadra di Wiggins non dispone di fondi sufficienti per correggere totalmente questi problemi a campionato ormai avviato…

Nemmeno un punto

Nel corso della stagione, Pacific Racing si rivela la “squadra cuscinetto”. Solo una serie di ritiri ed incidenti che lasciano posti liberi in griglia permettono alle lente PR-01 di qualificarsi alle gare che via via, si concludono con ritiri clamorosi, con il team che realizza ben presto una cosa importantissima: il salto in Formula Uno è avvenuto troppo presto. Le cose non migliorano l’anno successivo nonostante una fusion di comodo con il prestigioso Team Lotus che sembra migliorare le cose.

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Una rara foto di una PR ai box. L’impegno dei meccanici fu enorme ma alla fine, inutile (YouTube)

Nel 1995 le cose migliorano leggermente con le nuove PR-02 che sembrano molto più competitive. I guasti ed i ritiri però proseguono e alla fine dell’anno, la scuderia abbandona definitivamente la Formula Uno senza aver conquistato un singolo punto. Wiggins non si riprenderà mai davvero dal fiasco e tre anni dopo, la Pacific Racing con la sua originale livrea grigia, azzurra e rosa scomparirà per sempre dai radar.

A peggiorare le cose, dal 1996 verrà introdotta dalla FIA la regola del 107%, una norma che prevede la qualifica di una monoposto solo se questa realizza un tempo pari al 107% del più veloce in griglia. Se questa regola fosse stata in vigore l’anno precedente, la PR avrebbe potuto partecipare a soli 4 Gran Premi. Un fiasco totale che ci ricorda una cosa: meglio aspettare prima di fare il passo più lungo della gamba.

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